venerdì 17 febbraio 2017

Perché le istituzioni premiano chi ha sottratto terreni alla comunità e vi ha costruito abusivamente sopra?









Gli usi civici non sono una specie di salvadanaio da saccheggiare per contingenti esigenze di bilancio. Non li si può sminuzzare e cedere al miglior offerente (o al peggiore), etichettando cinicamente la svendita come “sviluppo”[1]. Ed, invece, da anni, questo si continua a fare.

E questo ha fatto anche la Regione Lazio, il 10 agosto, in pieno periodo feriale, proprio con una legge, la n. 12 del 2016, dal titolo “Disposizioni per la semplificazione, la competitività e lo sviluppo della regione” che, all’art. 17, la legge permette la “legittimazione di occupazioni abusive di terreni agricoli a uso civico”.




Grazie all’art. 17 terreni ad uso civico, occupati abusivamente, verranno legittimati d’ufficio e svenduti ad un prezzo irrisorio, o addirittura simbolico, a chi, da anni, li ha sottratti alla comunità[2].
Questo articolo contrasta non solo con la normativa nazionale, la giurisprudenza e la Costituzione, ma con il buon senso. Che ratio può avere una legge che:


  • reca un grande vantaggio a chi ha occupato abusivamente i terreni a uso civico in danno della collettività locale titolare dei diritti di uso civico;

   
  •      reca un grave danno alla collettività sia in termini di perdita del terreno e diritti civici, che di irrisorietà del canone di legittimazione o del corrispettivo di alienazione;

-         
  •      reca un grave danno alla tutela dell’ambiente e del paesaggio perché i demani civici hanno anche una funzione di tutela ambientale[3] e tutela degli assetti idrogeologici importantissima, tanto che l’art. 142 del D.lgs 42/2004 sottopone a vincolo paesaggistico le zone gravate da usi civici. Svendere i terreni ad uso civico sottrae alla tutela paesaggistica vaste porzioni di territorio oggi tutelate.




Viste le illegittimità, anche costituzionali, sono state diverse le istanze presentate al Governo perché impugnasse, davanti alla Corte Costituzionale, la legge regionale Lazio n. 12/2016[4]. Purtroppo nessuna è stata accolta.

I Comuni, purtroppo, non hanno la possibilità di adire direttamente la Corte Costituzionale per far valere i propri diritti, ma non ritengo neanche si debba restare passivi davanti a tutto ciò.


Non si deve restare passivi non solo perché l’art. 17 della Legge Regionale 12/2016 causa un danno rilevantissimo alla collettività per i motivi su esposti, ma perché gli usi civici “testimoniano una gestione collettiva dei suoli e delle risorse, secondo forme strettamente legate a un sistema di valori etici e politici dove la comunità è più importante del singolo e l’uso accorto e lungimirante delle risorse ne impedisce il cieco sfruttamento[5].

Infatti la svendita di terreni agricoli ad uso civico ha avuto un effetto devastante sulla nostra penisola, proprio perché una volta divenuti privati, non solo non vengono più “curati”, ma divengono oggetto di speculazioni edilizie od altro, e questo è evidente anche dal dissesto idrogeologico in cui versa la nostra penisola.

Proprio per questo, a novembre, ho presentato una mozione (clicca per aprire) in cui chiedo che si:

  • Presentino, a tutela degli interessi del Comune, le proprie osservazioni alla Regione evidenziando le illegittimità ed incostituzionalità della norma in oggetto chiedendone la abrogazione o modifica;


  • Si oppongano ad ogni cessione di terreni ad uso civico, ex art. 17 L.R. 12/2016;


  • Si oppongano, dunque, a tutti gli effetti prodotti dall’art. 17 della Legge Regionale 12/2016, nonché a tutti gli atti successivi che la Regione emanerà in attuazione dell’art. 17 L.R. 12/2016.









[1] Salvatore Settis, Azione popolare, cittadini per il bene comune, Einaudi 2012
[2] Infatti, la legittimazione verrebbe effettuata calcolando il prezzo di stima in riferimento ai valori agricoli medi (VAM), e non rispetto al reale valore di mercato.
[3] «la sovrapposizione fra tutela del paesaggio e tutela dell’ambiente si riflette in uno specifico interesse unitario della comunità nazionale alla conservazione degli usi civici, in quanto e nella misura in cui concorrono a determinare la forma del territorio su cui si esercitano, intesa quale prodotto di “una integrazione tra uomo e ambiente naturale”» (Corte Costituzionale, sentenza n. 46 del 1995).
[4] Sono state presentate istanze dall’Associazione per la tutela delle proprietà collettive e dei diritti di uso civico (APRODUC), presentata dal noto prof. avv. Vincenzo Cerulli Irelli, e dall’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus;
[5] Salvatore Settis, Azione popolare, cittadini per il bene comune, Einaudi 2012.

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